L’accordo

Il protocollo ‘Uomo-Carbone’, stipulato il 23 giugno 1946 tra l’Italia e il Belgio, prevedeva l’acquisto di carbone a un prezzo di mercato favorevole.

In cambio,  era convenuto l’invio in Belgio di 50.000 lavoratori italiani destinati al duro e pericolosissimo lavoro in miniera. I minatori espatriati, in realtà, furono quasi 64.000. In molti partirono dal sud, in particolare dalla Sardegna e dalla Basilicata, ma anche dal centro e dal nord Italia. Tutti, comunque, vittime della povertà, inasprita dalle condizioni economiche del paese a seguito della Seconda guerra mondiale. L’accordo con il Belgio, approvato da De Gasperi, prevedeva l’invio di almeno 2000 lavoratori a settimana di età non superiore ai 35 anni, con un contratto di cinque anni e l’obbligo di portarne a termine almeno uno. 

Le fonti

L’archivio storico della camera dei deputati conserva il protocollo e alcune note annesse. Qui, sono delineate le conclusioni raggiunte dai Delegati del Governo italiano e del Governo belga. Il punto numero 1 afferma la “volontà dell’Italia di contribuire alla ripresa economica dell’Europa”; il punto numero 2, invece, riguarda gli impegni del Belgio, che “affretterà, per quanto è possibile, l’invio in Italia delle quantità di carbone previste dall’accordo”. I lavoratori reclutati si dovevano presentare “forniti di una scheda medica” al centro di controllo di Milano, da dove partivano i convogli. Qui venivano ispezionati da parte delle autorità belghe, che controllavano le condizioni fisiche e la conformità dei documenti per l’espatrio. Il Belgio voleva persone giovani e sane per il duro lavoro che li aspettava nelle profondità delle miniere. 

Il destino dei minatori

[Estratto del catalogo dalla mostra “Mines et mineurs de Wallonie, d’Italie et d’ailleurs”, a cura di M.Villan et G.Zélis, Namur, 1989]

Negli articoli successivi sono specificate anche le condizioni richieste per gli alloggi degli operai, come dormitori “convenientemente riscaldati secondo la stagione”, e letti “a rete metallica” con “materassi non di paglia”. Nella realtà, molti minatori si trovarono costretti ad alloggiare nelle cantines, baracche che erano state costruite durante l’occupazione nazista per ospitare i prigionieri russi. Le cantines erano spesso in lamiera, bollenti d’estate e gelate in inverno. Qui gli operai vivevano affollati, in condizioni insalubri, e sotto un regime ferreo: i proprietari delle baracche, infatti, coincidevano solitamente con i proprietari delle miniere. 

La discriminazione

Trovare una sistemazione alternativa non era semplice: sulle porte di diverse case era affitta la scritta “ni animaux, ni étranger”, ed era difficile trovare qualcuno disposto ad affittare agli italiani. Una prima ondata migratoria aveva già portato in Belgio diversi migranti politici fuggiti dall’Italia durante il fascismo. I rifugiati italiani venivano considerati pericolosi e dediti al banditismo: Notre pays accueille avec une sorte de niaiserie des individus venus on ne sait d ’où et qui vivent chez nous dans un état tout proche du banditisme. Les antifascistes italiens notamment, comptent dans leurs rangs une proportion énorme d ’aventuriers anarchisants dont le gouvernement aurait dû se garder avec soin”. (“Le XXm siécle”, agosto 1928)

La discriminazione, ad ogni modo, superava gli schieramenti politici: anche i rapporti sindacalisti belghi, infatti, riportano stereotipi razzisti, operando una distinzione tra gli operai belghi e gli stranieri secondo la quale «les ouvriers étrangers, dans leur ensemble, se distinguent de nos compatriotes par (…) l’absence de toute préoccupation morale élevée» (“Le mouvement syndical belge”, 20 ottobre 1931).

Lo sfruttamento

Partiti per il Belgio con la promessa di condizioni di vita adeguate e di giuste tutele sul lavoro, migliaia di italiani si trovarono in una situazione che non lasciava spazio per alcun riscatto. Alcuni operai erano anche giovanissimi: è il caso di Sergio, che iniziò a lavorare nelle profondità delle miniere a soli 15 anni a Monceau-Fontaine. Nella sua testimonianza, raccolta per il servizio “Le Charbon dans les Veines”, Sergio ha ricordato lo stato di confusione e di paura della sua prima visita alla miniera: “Quand je suis arrivée au fond, […] c’était plus fort que moi, j’ avais peur. Ces hommes à torse nu travaillent comme des esclaves, et moi, gamin, j’etait un peu perdu”. 

Nonostante le condizioni pattuite non fossero rispettate, il protocollo Uomo-Carbone venne messo in discussione solo nel 1956, a seguito di un incidente che costò la vita a 139 operai italiani: la tragedia di Marcinelle. 

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