29 aprile 2024

Un vento caldo proveniente dall’Africa accarezza la pista dell’aereoporto di Lampedusa e fa alzare senza sforzo un piccolo velivolo con due eliche giganti, come quelle che disegnavamo da bambini.

Il viaggio fino a Palermo dura un’ora, poi la piccola compagnia dell’isola di Espérer si muove con un taxi collettivo alla volta della città. Siamo in sei, io, Maurizio, La Conti (Laura da oggi verrà nominata così), Laura C, Angelo e Sara. Sara è una ragazza di 13 anni, figlia di Angelo, dotata di due occhi intelligenti e curiosi, si aggira per la città cantando sottovoce alcune canzoni dello spettacolo, fra tutte “O Marenariello”, famosa canzone napoletana di ispirazione belliniana del 1893, musicata da Salvatore Gambardella su testi di Gennaro Ottaviano.

Sistemazione molto spartana e subito in teatro. La nostra narrazione era prevista per le ore 19.00 ed eravamo attesi da Carla, Margherita e Roberto, componenti della Fondazione Meno e partner di questa impresa che stava accumulando una serie di eventi e incontri da tramandare alle nostre figlie e alle figlie delle nostre figlie (qui il sovraesteso femminile non casuale). O meno prosaicamente, dopo qualche bicchiere di vino, ad amici compiacenti che dovranno sopportare l’espansione della sua mitografia tutte le volte che la compagnia si ritroverà. Siamo ansiosi di rivedere il Teatro Garibaldi, che è stato “casa” per Roberto quando ha diretto Manifesta 2018. Vedrete nelle foto realizzate da Laura il fascino di questo Teatro mai completamente finito e che affaccia proprio su Piazza Magione. Ma c’è qualcosa di magico qui che voglio raccontarvi: siamo nel quartiere della Kalsa e la nobile decadenza del teatro dialoga con una piazza danneggiata durante la seconda guerra mondiale. Ci sono ancora le tracce dei palazzi e delle strade strette, ci si può camminare dentro, anzi organizzare favolosi picnic, studiare, vivere lo spazio che adesso è tornato a essere pubblico. In ultimo, tanto perché i luoghi sono fatti di storie oltre che di pietre e mattoni, qui prima della demolizione ha vissuto la famiglia di Giovanni Falcone, qui nacque e trascorse la sua infanzia il giudice ammazzato dalla Mafia e dalla cattiva politica. 

Ma torniamo nel Teatro, dove ci aspettano i ragazzi del service e soprattutto Davide che come responsabile tecnico aveva partecipato alla tournée prima che ci fermasse il Covid. Un ragazzo di 36 anni, compiuti proprio oggi, a cui ho chiesto di prendersi cura dello spettacolo ancora una volta per il piacere di riabbracciarlo. Davide viveva a Torino insieme alla fidanzata, ma quel periodo tremendo ha avuto consegue  nefaste anche per i lavoratori dello spettacolo, chiudendo i teatri e costringendo molti di noi a reinventarsi casa e mestiere. A Palermo sta bene, ci dice, ma è stato bello ricucire una ferita attraverso la stessa storia con cui ci eravamo lasciati.

Si, lo so, ho parlato poco dello spettacolo, ma il teatro è fatto di presenze, va vissuto, annusato e purtroppo questo Teatro, che per me resta la “casa” di Roberto, molto probabilmente ha visto ridere, morire ed evocare in scena gli ultimi mondi immaginari. Non c’è un vero progetto per lui. 

Applausi e qualche lacrima, poi Roberto entra nell’isola e saluta chi ha partecipato, le lunghe maniche del costume di “Pucinè” ci consentono un abbraccio di mani e non so cosa abbiano visto le persone ma noi ci stringevamo forte, come fanno i bambini prima di saltare nel buio, quello stesso buio che avvolgerà il Teatro Garibaldi da domani. 

Antonio

La serata sull’isola passa in fretta come il vento che ha attraversato la platea durante lo spettacolo. Siamo a cena e nella testa abbiamo ancora i racconti di Esperer: la ricerca della terra dell’abbondanza, la tragedia di Marcinell con la storia familiare ed intima di Turi Scordo da Mazzarino, Sicilia, il respingimento della polizia francese sugli scogli di Ventimiglia e la speranza che un domani non troppo lontano i due paesi confinanti inizino una gara di accoglienza a favore degli abitanti dell’isola di Esperer. Ma sacro e profano si fondono e mentre nei cuori ancora tratteniamo il ricordo di una storia immaginifica che ha coinvolto la piazza centrale di Lampedusa, tra le mani abbiamo un menù. Il cameriere ci invita a scegliere al più presto tra le tante prelibatezze che questa isola sa preparare. Inizia la difficile decisione, il pesce prende il sopravvento sulla tavola, ma mia figlia Sara non molla: pizza con patatine e wrustel, provo a dissuaderla ma non c’è verso. Nella terra remota di Lampedusa vede un piatto che gli ricorda il suo sabato sera a Benevento e ci si tuffa. Finita la trattativa sulle pietanze il flusso dei nostri pensieri e delle nostre parole riprende come prima: bisogna parlarne, ci diciamo, ma cosa si dovrebbe fare di più perchè Espere non resti un’ isola immaginaria? Ripensiamo alle parole dell’ex sindaco Frangipane, pronunciate con vemmenza durante la conferenza stampa del mattino: non esistono migranti, esistono solo esseri umani accomunati da un unico viaggio, quello dalla culla alla tomba. nel pomeriggio abbiamo saputo che un gruppo di lampedusani celebra i funerali per tutti i migranti ignoti, attorno alle bare lasciate anche per mesi a stazionare in un magazzino adibito ad obitorio. Si riprendono con la telecamera di un telefonino, perchè quando sarà, e se sarà, vogliono far sapere ai loro cari che il loro “Turi Scordo” non è morto in solitudine e senza una cerimonia funebre, ma officiato e accompagnato da saluti laici e religiosi. Arrivano le pietanze ordinate a tavola ed ancora parliamo di quel senso di meraviglia che ci ha lasciato addosso Angela, la bimba dei dolci, con il suo gesto del dono, per tutti gli affamati. Iniziamo a degustare ed in quelle bontà ci sembra di capire che Esperer vive davvero su quell’isola. C’è vita e c’è bellezza per tutti, anche per i morti. Il giorno dopo si vola per Palermo. Esperer deve presentarsi nel cuore storico della città, alla Kalsa, in un vecchio teatro che pare abbandonato, ed invece è terra amata. Il proscenio è essenziale, le mura parlano di vita vissuta, il tetto che non ripara più dalla pioggia ci parla. Siamo al Teatro Garibaldi, al confine con piazza Magione. Sulla agora incolta e lasciata brada dopo i bombardamenti degli alleati le persone bevono fiumi di spritz, la musica è energetica, il caos delle auto non da tregua neanche nell’isola pedonale. Si respirà la bellezza della vitalità palermitana. Tutti desideriamo portare Esperer proprio in quella piazza e chiamare l’attenzione di tutte e tutti, ma il Teatro ci aspetta, Garibaldi è come una persona dimenticata che si apre solo per noi e non possiamo tradirlo neanche per un Magione baldanzoso. Nel buio naturale della platea trovano un posto a sedere una trentina di amici venuti per assistere all’immaginifico viaggio, sono donne e uomini dell’amministrazione cittadina, di Sale della Terra, amici della Fondazione Meno, è la famiglia di Angela Errore che segue le proposte di questa straordinaria civil servant del comune come si fa con chi ha carisma da vendere.

La luce a terra delimita lo spazio della scena, inizia la chitarra di Maurizio, poi la voce di Laura ed infine “sale” sul palco quello strano clown o pierrot o pulcinella che dirige il racconto di Esperer con assoluta maestria, è Antonio. Il pubblico segue attonito e commosso il racconto che ascolta per la prima volta. Durante il viaggio non sa se ballare o piangere, se abbracciarsi o continuare a discutere di terra e di futuro. Pulcinella chiude con la sua battuta irriverente ed il piccolo pubblico si alza in piedi ad applaudire con un fare liberatorio e convinto.
Passano una decina di minuti, attendiamo gli attori che si svestono e solo Garibaldi non si deve svestire, resta lì ammutolito e spoglio, con la sua eleganza e bellezza mozzafiato.
Noi tutti riprendiamo in mano la serata, Palermo ci aspetta con la sua cucina e non vogliamo farla aspettare. Essere viaggiatori di speranza significa anche questo: soffrire con chi soffre, gioire con le città che si fanno comunità attorno a noi.

Il viaggio riprende domani, stasera siamo abitanti di questa terra che si presenta a noi con un caciocavallo all’argentiera e già sogniamo di portare la ricetta su Esperer.

Angelo