Ancora Sud con quel piccolo, indisciplinato Pulcinella
Vi siamo mancati?
Beh a me si… o meglio mi è mancato vedervi dal vivo, pronti a salire sull’isola per regalarci quel coraggio di credere (o illudersi?) che qualcosa di più di quel che leggiamo e vediamo tutti i giorni intorno a noi possa esistere.

Mi è mancato persino questo diario, che devo aggiornare pur sapendo di non riuscire a contenere gli incontri, le parole, gli sguardi e le energie che questo lavoro sta generando.
Comincio con il confessare che svuotare la valigia al ritorno dalla prima parte del tour è stato complesso. Non si tratta certo di rimettere nei cassetti gli attrezzi, questo è un esercizio banale, quanto scegliere le maschere più opportune per non uscire nelle strade della città in cui abito, nudo come il teatro vuole.
E si, sono tempi duri quelli delle pause, qui si che serve nascondersi, altro che in teatro. Tempi in cui, nella vita di tutti i giorni, devo sforzarmi di proteggere quel piccolo, indisciplinato, Pulcinella che ogni tanto fa capolino nei gesti e nelle pieghe della quotidianità e vorrebbe dire le cose a modo suo, raccontare altre storie.
No, non pensate male!
Non sarebbe mai maleducato, non è capace. Probabilmente direbbe, con gli occhi grandi, quello che molti di voi spesso pensano nei luoghi del lavoro, ,a casa, con gli amici o con la persona che amate, ma non ritenete conveniente (e la scelta del termine non è casuale) dire a voce alta, anche solo per il timore di non essere compresi. Ecco, lui, questo timore non lo conosce e se dovessi lasciarlo governare potrebbe causarmi non pochi problemi.
In questo momento, il volto di alcune persone che mi conoscono bene ha assunto un’espressione particolare, da non confondere con un sorriso. Trattasi altresì di una specie di richiamo della memoria: si dice infatti che si riferisca a una forma di linguaggio obsoleto, un modo che avevano le prime donne sulla terra di comunicare con chi era distante. Quel non-sorriso disegnava il viso di colui che lo stava pensando e che, contestualmente, veniva raggiunto da un fischio acuto nelle orecchie. Pensate che poteva accadere a distanza anche di anni o secoli, in quel caso il fischio non avrebbe trovato il destinatario.
Rituali antichi, appartenenti a mondi meno distratti e più capaci di ascoltare gli elementi della natura. Difatti complice di questa bizzarra comunicazione sembrava essere proprio il vento, che a corroborare questa tesi ancora vaga, fischiando lì dove non è riuscito a consegnare il messaggio.
A noi, oggi, non è rimasta che una frase e un fischio nelle orecchie a cui non fare caso, una formula magica svuotata dal suo contenuto originale: “sarà qualcuno che ti sta pensando”. Lo era.
Scusate, mi sono lasciato trascinare, “questa è un’altra storia e non posso mettermi certo a raccontarla”, direbbe Puciné.

Il ritorno a casa ha significato dovere rinunciare a tutte le macchie di trucco sulla gorgiera, sul cappello e sul vestito di scena. Sapevo dove e come me le ero fatte e avevo dato a ognuna un nome: Angela, 9 anni, la bambina che a Lampedusa mi regalò i biscotti della sua panetteria; Gabriel, che di anni ne ha 7, attaccato alla manica del costume a Catania, per annodare al polso un filo di colore rosa, un braccialetto, da donare a Pucinè… e poi Carla, Margherita, Roberto, Salvo, Pasquale, Mazzabubbù e tanti altri. Ogni macchia una storia.
Con l’eliminazione di quelle macchie, mi sono dovuto riabituare a non sorridere troppo a lungo e a non guardare diritto negli occhi tutti coloro che incontravo per strada, salutando con la mano alzata fino al viso. Soprattutto, quando entravo in una stanza o in un ufficio, non abbracciare le persone in segno di affetto, di riconoscimento fra umani, semplicemente perché ero vivo. Infine mettermi davanti allo specchio tutte le mattine, per almeno quindici giorni, prima di uscire e ripassare la postura di questa società, abbassare i gomiti e impostare un certo disinteresse consono a non fare spaventare chi avrei incontrato.
Insomma fare finta di non esserci e che non ci siate neanche voi, comportarmi come se la vita fosse infinita. Invece, come purtroppo ognuno avrà avuto modo di sperimentare, talvolta basta un soffio, un momento, che tutto volge senza preavviso a un termine. La cosa che ci accomuna è la certezza che prima o poi sapremo di non essere stati capaci di celebrarla questa vita, in ogni istante.
Badate io non credo che questa sia la vita reale, anzi la mia verità è Lui, quel Pucinè che non conosce filtri, che indifeso si dona agli altri lasciando vedere sul corpo tutto quello che prova, passando dalla gioia al pianto senza pausa. Dopo tutto, come vi scrivevo, in teatro le maschere si tolgono mica si mettono.
Ma veniamo a questo viaggio, ci sono abitanti di Espérer che ci aspettano a Roma, a Potenza e nuovamente a Palermo. Questo sud ci attira cosi tanto da non riuscire a risalire la penisola come ci siamo ripromessi.
Squadra che vince non si cambia, dice un vecchio detto sportivo, e così noi quattro ci ritroviamo alla Stazione di Torino Porta Susa, binario 2, pronti per salire su di un treno che ci conduce dolcemente nella città eterna. Non ci tornavo da prima del Covid a Roma e nonostante non riusciamo ad allontanarci da Termini la trovo sempre incredibilmente bella.
Questa sera si “canta e si cunta” in uno spazio particolare, siamo a Civico Zero, nel quartiere di San Lorenzo.
Qui arrivano ragazzi minori stranieri non accompagnati a studiare l’italiano, conoscere il paese e sperando un giorno di farne parte a tutti gli effetti.
Il nostro arrivo sembra non essere notato, come fossimo in una piazza, e lo trovo molto bello. Nessuno ti chiede chi sei e da dove vieni, così mi siedo nell’agorà di un laboratorio sulle mappe nel mondo, mentre Maurizio sta in un’altra stanza con un ragazzino di 15 anni appena conosciuto, Tomas proveniente dalla Birmania. La sua storia non la conosce ancora nessuno, ci dice Dario di Civico, mica uno viene e ti racconta i fatti suoi, magari traumi o chissà cos’altro, bisogna ricreare l’idea della piazza per guadagnare la fiducia e le parole che potrebbero uscire o anche no. Nel frattempo da quella stanza non escono parole ma note. Si, Tomas suona la chitarra e il nostro Maurizio non resiste alla tentazione di giocare con lui. Insomma eccoci inglobati nella piazza. Poco dopo arrivano Angelo, Sara e una sua amica, allora sembra che un pezzo di famiglia si sia dato appuntamento a Roma. Ma anche lo spettacolo di Espérer si fa in questo spazio-piazza. Si comincia con il messaggio di Marco Rossi Doria, Presidente di Con I Bambini che ci esorta a continuare il viaggio e andare a prendere i ragazzi e le ragazze quasi casa per casa, per tornare a un’alleanza Vera fra generazioni. Nel frattempo lo spazio si riempie di persone di tutte le età e provenienze.
Anche una bimba ucraina, che come avrete capito, si affeziona subito a Pucinè e lo difende nascondendo sotto la sedia della madre una colpevole buccia di banana. Certo, qualcuno si domanda chissà cosa avrà capito lei e anche alcune delle persone provenienti da almeno una ventina di posti nel mondo. Io rispondo loro, di osservare gli occhi e leggere le posture sulle sedie, perché con quei corpi durante la narrazione io ci parlo, Laura ci canta e si ride, si battono le mani e si capisce che le navi partite verso le Americhe all’inizio del ‘900 o i treni inghiottiti nel ventre delle miniere del Belgio, sono come le imbarcazioni povere che arrivano sulle sponde della penisola italiana, abbiamo uno stesso ritmo e talvolta i medesimi canti.
Ecco, come ci parliamo noi migranti.
Siamo stanchi e forse anche un po’ nervosi, nulla che all’Osteria da Marcello non sappiano curare, ci consigliano due nuove amiche, Rosa e Ortensia, conosciute online, avevano promesso di partecipare, sono venute.
Allora è vero, sull’isola che c’è la parola data conta più di ogni altra moneta.
Dormiamo in un hotel che non vale la pena di ricordare come fra i migliori di questo viaggio, ma complice la stanchezza passiamo indenni la notte.
L’indomani il mezzo per muoversi è un’auto che dovrà percorrere quasi quattro ore di strada per condurci a Potenza. Qui ci siamo arrivati per intercessione di Carolina, lucana di origine, oggi residente a Roma, insieme a Elio e il piccolo Diego. Siamo ospiti di Valerio che dirige la Fondazione Città della Pace per i Bambini. Con Valerio ci siamo incontrati a Torino qualche settimana prima per un caffè, io e la mia Arianna. Mi ha raccontato la storia della Fondazione e del lavoro che stanno realizzando non solo in Basilicata ma in molte scuole italiane. Mi è piaciuta questa idea quasi gramsciana di immaginare la grande macchina dell’accoglienza per farla diventare cultura egemone, in altri modi sono quasi sempre rattoppi episodici a una struttura che sta perdendo fiumi d’acqua.
Valerio ha scelto un parco degno di questo nome, non un semplice giardino, ma un luogo vissuto da tutta la città, il Parco Baden Powell. Lì incontriamo Toni De Giorgi, del mitico Jazz club Potenza e Antonio, che ci aiuteranno a preparare l’isola per l’arrivo degli abitanti sotto un grande albero. Antonio è uno dei primi militanti che partecipò alla nascita del Movimento 5 stelle, la sua passione si legge ancora oggi.
La serata si popola, le sedie si riempiono e anche qui, come a Roma, arriva il mondo! Donne, uomini e bambini della Lucania, dei paesi arabi, quelli africani, dal Pakistan e dal Bangladesh. La foto di Laura ci rappresenta tutti, la più piccola ha 2 mesi ed è arrivata da oriente, la più grande si chiama Lucia, mi tiene la mano, ha 80 anni ed è stata impastata in questa terra. Sia a Roma che a Potenza quando parliamo del Certificato di esistenza e dell’isola di Espérer decidono di salirci tutti e tutte, senza indugi.
Finito lo spettacolo, si arriva nel centro storico della città, Valerio ed Erika, una giovane laureanda in Beni culturali, ci conducono in un ristorante che ricorderemo nelle nostre storie future per un baccalà con peperone crusco, da sogno.
Il corpo ci ricorda che in meno di 36 ore abbiamo viaggiato per mezza Italia, vissuto tante emozioni e fatto due spettacoli, e che se andassimo a riposare non sarebbe male. Anche qui meriterebbe una menzione speciale un B&B sito in una delle rotonde più grandi e trafficate della città. Non affianco, la casa del B&B era la rotonda! Il giorno dopo bisogna guidare altre due ore, arrivare a Napoli Capodichino e prende l’aereo verso Palermo. Ma Valerio ed Erika hanno ancora una sorpresa per noi: ci conducono a vedere il ponte sul fiume Basento, una specie di animale preistorico disegnato dal genio ingegneristico di di Sergio Musmeci negli anni ‘70.
L’indomani Palermo.
Come scrivevo all’inizio di questa pagina di Diario, questo sud è un dono e Angela ci attende con un regalo speciale: una seconda replica nel Teatro Garibaldi.
Ci vediamo questa sera alle ore 19.
Antonio