A Palermo ci arriviamo nel tardo pomeriggio, dopo avere percorso in auto Potenza – Napoli. Dalla mia terra di origine, in meno di quarantacinque minuti, si atterra all’aeroporto Falcone – Borsellino. La città è assolata, che significa anche sentire sulla pelle il desiderio di una doccia e il meritato riposo.

Questa è l’unica serata di riposo della tournée e bisogna fare di tutto per non cadere nella tentazione di rimettersi in moto, accettare generosi inviti e tavolate di amici. Doccia fresca e letto, per poi fare due passi alla ricerca di pasto veloce nel quartiere, assolutamente popolare, nessun maquillage per turisti: insomma te lo becchi così com’è!
Troviamo un piccolissimo locale a gestione familiare, Trattoria Ambasciata, che non apparecchia più di dieci tavoli, televisione accesa sugli europei di calcio e quattro uomini che discutono nella lingua locale. Il più anziano è vestito con camicia bianca, giacca e cravatta, come alcuni vecchi di quando ero bambino, che per andare al bar anche a prendere solo un caffè si vestivano di tutto punto. I piatti semplici e saporiti, serviti dal figlio del fondatore, il quale aveva lavorato con sua moglie a Roma presso il rinomato Ristorante Ambasciata d’Abruzzo, tornati a Palermo il nome regionale sparisce e il menù si adegua.
L’hotel invece è una enorme nave che si vede da lontano e le stanze sembrano quelle cabine che in poco spazio dovevano contenere tutto il possibile per rendere comoda la traversata.
Questa volta non ci troviamo proprio nel centro di Palermo, ma ai piedi del Monte Pellegrino, quindi bisogna fare affidamento su taxi e mezzi pubblici.
La mattina dopo proviamo ancora a recuperare la stanchezza dei giorni precedenti, mangiando solo un po’ di frutta (ottime le ciliegie), prima di andare a la Kalsa. Lì si trova anche il Teatro Garibaldi, l’ufficio di Roberto e la sua piazza d’elezione, Piazza Mangione. Prima però di incontrare Micol e Giuliana di Booq, seguiamo il consiglio di un taxista che ci suggerisce di mangiare da Chiluzzo. Cosa? Pane e panelle, naturalmente!
Non chiedetemi se sono stato io a domandare o la signora che mi serviva ad accorgersi della curiosità sul mio volto, ma in pochi minuti mi ha raccontato di suo nonno Michele che aprì il chiosco nel dopo guerra, quindi il vezzeggiativo era Micheluzzo, oggi Chiluzzo. Nessun riferimento ai chili in più che le prelibatezze fritte ci avrebbero comunque garantito.
Entrare nel giardino di Booq è un bel vedere, sembra un antico chiostro che l’associazione ha trasformato in biblioteca, spazio gioco, educativo, incontro e sede condivisa con vari soggetti del territorio. Facciamo il giro dei locali per fermarci a parlare della Rete delle Portinerie di comunità e dell’appuntamento che ci sarà il giorno successivo con Angela del Comune di Palermo. Qui la posta in gioco è interessante: come adattiamo il modello della Portineria a qualcosa che pre-esiste e funziona? O sarebbe meglio dire, quali strumenti possono essere di aiuto a un presidio del genere e inoltre cosa Booq può insegnare agli altri presidi affinché in giro per l’Italia possiamo avere tutti e tutte a disposizione una cassetta degli attrezzi ancora più efficace?
Queste sono le domande che bisognerà tenere in considerazione durante questo processo. Le chiacchiere sono belle, perché si riflette anche sul ruolo politico che il terzo settore spesso dimentica di avere, ma il tempo trascorre velocemente e bisogna andarsi a preparare per lo spettacolo di questa sera.
Attraversiamo la Kalsa, un quartiere che risale al periodo della dominazione islamica. Il suo nome deriva dall’arabo al khalisa, “l’eletta”, perché al suo interno c’era la cittadella fortificata dell’emiro e la sede della sua corte. Oggi un luogo in grande trasformazione.
Del Teatro Garibaldi vi ho già scritto e ci siamo già passati con l’isola, grazie a Roberto. Lui ci è particolarmente legato perché fu, tra le altre cose, il quartiere generale di Manifesta, una delle più importanti biennali di arte contemporanea d’Europa, di cui ancora oggi si vedono segni nella città.
Questa sera invece, ed anche questo vi assicuro essere un atto di gentilezza che fa bene al cuore, siamo qua grazie ad Angela. Angela ha organizzato una settimana intera, in prossimità del 20 giugno, per celebrare la Giornata Mondiale del Rifugiato. Sua fu l’idea di fare tornare Espérer e sempre sua di replicare al Teatro Garibaldi.
Difatti dal camerino si sente il vociare delle grandi occasioni, ma non è il solito pubblico da abbonamenti teatrali, palchetti e vestiti firmati. C’erano operatori sociali, cooperative, famiglie, bambine e bambini, ragazzi e amici del mondo Sai, provenienti dai paesi africani, dal Pakistan e dall’Ucraina.
Questa volta non provavo più il timore di non essere compreso, con la mia lingua inventata, ho capito dopo Catania che lo spettacolo non era più solo mio e che la comunicazione verbale non è che una delle chiavi d’accesso per salire sull’isola. A fine spettacolo le ragazze dei Sai, i bambini e gli adolescenti di lingue diverse sono venuti a farsi una foto con Pucinè, la domatrice e il Re dell’isola, in fondo anche noi siamo stranieri e veniamo da un’altra terra, quella dell’immaginifica storia di Espérer.
Mentre due ragazzi alti e sorridenti mi abbracciano, penso che forse bisognerebbe proprio inventarla una terra dove possiamo stare tutti e tutte, senza che nessuno ti chieda o giudichi da dove arrivi.
Come sempre, grazie alle foto di Laura, potete vedere gli abitanti di Espérer e verosimilmente come saranno i nostri paesi nel 2050, se tutto va bene!
Il resto della serata è una lunga tavolata di pesce, in una deliziosa piazzetta dell’antico mercato del Capo che conosce Francesco, dove sarà difficile dimenticare quegli spaghetti alle vongole, le chiacchiere con Marcello e la presenza di Arianna (la mia Arianna) ma questa è un’altra storia.

Antonio