Il teatro è un’organismo vivente, questo è un assunto che ho già scritto nel diario tutte le volte che il rito si rinnova, ma mai come in queste ultime tappe del viaggio sembra essere così chiaro, evidente, fragile e meraviglioso. Raccontare una storia, almeno come la intendiamo noi e come giocare a una partita di calcio: conosciamo i ruoli, gli schemi e come passarci la palla, ma poi il risultato è irrimediabilmente diverso.

Ci sono gli altri giocatori: il pubblico, lo spazio, la vita che scorre nelle nostre teste e che si mischia a ciò che stiamo per realizzare.
Questa storia però è completamente nuova, ve lo assicuro!
Non credo assomigli a quella che avete visto a Lampedusa, Palermo, Roma e in altre città. Vorrei tanto ci fossero anche Angela, Sara, Angelo, Roberto, Margherita e Carla che l’hanno vissuto almeno due, se non quattro volte, chiederei loro conferma di questa sensazione che noi abbiamo avuto a Lecco e sabato a Bologna. Posso immaginare che per qualcuno sia difficile crederci, ma l’Immaginifica storia di Espérer, nata l’8 settembre 2024, è un ritorno al teatro, al pericoloso vortice di quest’antica arte che non rasserena, non permette ad alcuno di comprovare se stesso, anzi ci costringe all’irrequietezza, all’esitazione, perfino al sospetto.
Fra pochi giorni mettiamo un punto al tour, perché a un certo punto le cose devono finire, chiudersi, altrimenti come possiamo immaginare il prossimo viaggio. D’altronde non è così anche per il dolore o il piacere? Ma anche una passeggiata in montagna, dove si sale fino alla meta per poi discendere, togliersi le scarpe e lasciare scorrere quello che il corpo ha imparato. Si è lui il vero protagonista, il corpo. É il corpo che impara, memorizza, fa si che un gesto, un modo di sedersi, il respiro dentro una parola, guidino le nostre storie. Ecco svelato il mistero degli attori e di tutti noi che crediamo di imparare con la testa, mentre il verso, la musica e il corpo fanno il vero lavoro.
A Viganò, in provincia di Lecco, ospiti di Elena e Luca del Teatro Invito, alla fine della storia una bambina ci ha domandato se l’Isola di Espérer esistesse, e dove poteva trovarla su Google Maps. Il padre è intervenuto rassicurando lei e noi che quando l’isola ci sarà loro sarebbe certamente venuti a viverci. Un signore dal fondo della sala è corso deciso verso il palco per dichiarare che dovremo farlo vedere a tanti italiani che hanno dimenticato le loro origine di emigranti. Una volta calmati gli animi sono tutti e tutte entrate nell’isola per la foto di rito: l’isola c’è, l’isola esiste.
A Bologna invece la giornata è stata complessa, la città è stata paralizzata da cortei di seguaci di partiti di destra e di sinistra, ma soprattutto da un’ingente numero di poliziotti, elicotteri e furgoni che hanno bloccato la viabilità per buona parte del pomeriggio. Inutile aspettare taxi e bus, con conseguente passeggiata di più di tre ore con valige e strumenti musicali verso il Teatro degli Angeli. Ci siamo arrivati stanchi ma felici, perché questa piccola chiesa sconsacrata diventata teatro e gestita da Chiara, Claudia e Gabrielle è una vera chicca.
All’arrivo, come sempre, mi tolgo le scarpe e misuro il palco a piedi nudi; Maurizio Verna cerca il suo spazio, quello della chitarra e scalda le dita; Laura Cantarella sceglie i luoghi da cui scatterà le foto scendendo a patti con il blu delle luci teatrali. Gabriele accende i microfoni e torna a risuonare il siciliano di Ignazio Buttitta, il napoletano di Libero Bovio e Amara terra mia di Domenico Modugno.
Insomma siamo pronti a giocare la nostra partita, dopotutto il gioco del teatro inteso proprio come azione in inglese si dice to play.
Espérer scorre libera, fra risate e commozione, il rapporto fra me e Maurizio è consolidato e finisce tra gli abbracci. Il teatro è così piccolo che qui chi partecipa può salire su palco e abbracciarti, fra questi anche Maria Rita e Gabriel, una coppia adulta italo francese che chiedono di potere rimanere ancora seduti mentre noi andiamo a struccarci, perché sono emozionati e dicono di avere bisogno di restare lì per respirare ancora quella sensazione.
Il resto è la rituale e affettuosa cena con organizzatori e amici, fra cui Giorgio e Francesco, i deliziosi figli di Chiara e Michele e futuri colleghi, dato diventeranno rispettivamente musicista e documentarista.
Adesso siamo davvero stanchi, l’adrenalina sta scendendo e siamo pronti per il meritato sonno ristoratore e un treno del ritorno.
Martedì 12 l’isola passa da Torino, casa. Manuela e Martina di Archivissima ci stanno già aspettando.