Il viaggio è stato lungo e non sempre agevole, chi fa tournée conosce la stanchezza di alcuni alberghi non adeguati, ristoranti chiusi in tarda serata e mezzi di trasporto in perenne ritardo. Forse anche queste cose ci fanno apprezzare il ritorno.
Il luogo dell’evento a Torino non è stata una scelta casuale, ci siamo premurati in questi mesi di accompagnarci a organizzazioni vicine al senso del nostro viaggio e con loro individuare spazi con una storia vera, non semplici contenitori: Lampedusa, il Teatro Garibaldi di Palermo o una Sala di un quartiere complicato di Catania, per citarne alcuni.
Non poteva fare eccezione proprio Torino, difatti la sede di Promemoria è un posto dedicato agli archivi e al futuro. La sala allestita con Manuela, Martina e le altre amiche di Archivissima per accogliere l’isola di Espérer si è riempita dopo soli dieci minuti dalla pubblicazione dei biglietti. Prima però, la mattina del 12 novembre, siamo stati alla conferenza stampa di chiusura e lancio della prossima edizione del loro Festival e in 15 minuti cantati e raccontati abbiamo mostrato il ritmo del nostro viaggio da Lampedusa a Bardonecchia. Il risultato sembra essere stata una gradita sorpresa per i presenti, ma anche per il sottoscritto, che per la prima volta ha visto tradotto nel linguaggio dei segni un frammento della storia di Espérer. L’interprete LIS, dalla origini abruzzesi, si chiama Anna e mi ha assicurato di comprende benissimo il napoletano, che avrebbe fatto del suo meglio per tradurlo nel linguaggio dei segni. Solo dopo mi ha confidato che alcune cose non era riuscita proprio a realizzarle, ma solo perché stava ridendo.
La sera arriva veloce ed è inutile nascondere che la maggioranza dei presenti erano facce a me care, alcune di loro hanno assistito alla nascita del Teatro delle Forme, che il prossimo anno compirà 30 anni. Vedere tanti e tante care amiche insieme mi ha dato una forte emozione, testimoniata anche da un cambio di intenzioni all’inizio dello spettacolo, con conseguente apnea di Laura e faccia smarrita di Maurizio. Ma questi non posso raccontarli, fanno parte dell’album dei segreti che ogni tournée regala solo ai partecipanti, affinché ne possano fare memoria, poi breve storia che cresce e si rinnova, fino a diventare impresa epica col passare degli anni.
Se il lettore o la lettrice di questo diario di viaggio ha già avuto la pazienza di frequentare le pagine precedenti sarà certamente a conoscenza del come finisce ognuna di queste serate: l’isola appare, si manifesta attraverso quel sentimento che che ci ha avvolto durante la narrazione, facendoci diventare un corpo unico. È solo allora che la performance può terminare, per lasciarci la sensazione di esserci realmente saliti sull’isola.
Applausi, foto, abbracci e a cena con le persone di sempre, con quella famiglia allargata dove finalmente ci possiamo togliere le maschere. Poi tutti a letto, l’indomani alle 17.30 ci aspettano a Felizzano in provincia di Alessandria: Siamo ospiti della Cooperativa Azimut e la Comunità di minori stranieri non accompagnati, Il Galletto.
Questa volta si canta alle 17.30, quindi bisogna essere sul posto verso l’ora di pranzo. Laura acquista due porzioni di ottimo riso con verdure dal ristorante vegano sotto casa e partiamo: avremmo mangiato si in autogrill, però senza cadere nella trappola dei dieci euro a panino.
Ma non era destino. Nel parcheggio non distante dal nostro, un grande camion trasportava maiali che urlavano come bambini impauriti. Difficile restare indifferenti e non cogliere le contraddizioni umane, soprattutto quando all’arrivo presso l’Astrolabio di Felizzano, una specie di fattoria didattica, ci è sembrato di essere entrati in un cartone animato di Walt Disney: Uno spazio verde in cui grassi maiali passeggiavano sereni, insieme a conigli con i baffi, cavalli, lama e cicogne che si avvicinavano in cerca di cibo, mancavano solo Adelina, Guendalina e Blabla. Gli umani hanno davvero uno strano rapporto con gli animali, ma direi con ogni cosa che li circonda, estremamente feroce e schizofrenico. Qui abbiamo scoperto che le cicogne sono carnivore, la proprietaria della fattoria compra per Bianca, nome della cicogna nella fotografia, scatole di pulcini congelati, di cui l’animale è ghiotta.
Ma torniamo agli altri umani. Ci accoglie Nicolò, un giovane e preparato tecnico dell’audio che aveva già sistemato tutto. Appena entriamo nella sala, gelida per la mancanza di riscaldamento, gli domandiamo cose a cui, poverino, non sa rispondere, come per esempio fare funzionarie l’aria calda. Quindi inseriamo la modalità “portiamo a casa la pelle”. L’unico luogo in cui ci si poteva cambiare era un garage, facciamo veloci e cerchiamo un modo per scaldarci in bagno. Dopo due ore a circa 10 gradi arriva la proprietaria che accende finalmente il riscaldamento, che forse avrebbe dovuto attivare almeno verso l’ora di pranzo?
Per chi fa questo mestiere, spesso distante da casa per settimane, l’accoglienza è importante. Nessuno di noi è quel tipo di artista che necessita di attenzioni esagerate, arriviamo dalla povertà del teatro, ci è sufficiente una bottiglia d’acqua, qualche frutto, un bagno e una stanza riscaldata per guadagnarsi la nostra gratitudine.
A proposito di accoglienza, la sala si riempie dei ragazzi della comunità, qualche autorità locale e i responsabili della Cooperativa, che ci fanno vedere un video di 12 minuti prima dello spettacolo. Da queste parti il progetto Tempo al Tempo ha dato buoni frutti: nel video due ragazzi arrivati da chissà che viaggio e probabilmente attraversando la nostra stessa rotta, ma da Lampedusa a Felizzano, raccontano del come sono stati accolti a lavoro e in famiglia.
Azimut ha lavorato bene ed è vero che le parole scaldano, così che anche noi siamo pronti a cantare la nostra favola. Entro, saluto, rallento, scandisco e aggiungo al mio napoletano corporeo qualche parola in più della lingua ufficiale. Maurizio, nonostante il freddo, non fa una piega, le sue dita vanno veloci e ci portano tutti e tutte sull’isola. E penso a due cose mentre lui suona: che la musica sta a metà fra la magia e la medicina e che bisogna scegliersi bene i compagni e le compagne di viaggio per affrontare una tournée difficile come questa.
Tutto e bene quel che finisce bene. Ma ci sono ancora due tappe, forse meglio tornare subito a casa, prendere una Tachipirina e andare a dormire.
Antonio