L’incidente

Lu trenu di lu suli, Otello Profazio

“Tutti cadaveri”: queste le parole di uno dei soccorritori, stremato dopo i vani tentativi di salvataggio. L’incidente della miniera Bois du Cazier a Marcinelle, avvenuto l’8 agosto del 1956, fu uno dei più gravi disastri minerari della storia, e il prezzo fu pagato soprattutto dagli emigrati italiani: dei 262 che persero la vita nell’incendio, 136 erano italiani. Solo in 13 riuscirono a salvarsi. Nell’archivio storico dell’Unione Europea, sono conservati i due volumi dei rapporti della commissione d’inchiesta, dove è descritta dettagliatamente la vicenda. Una putrella trancia una condotta d’olio, i fili telefonici e due cavi di tensione, e la scintilla prodotta da fa scoppiare subito un incendio. Il fuoco divampa su diversi piani per circa duecento metri d’altezza, a partire da una profondità di più di 900 metri sotto il suolo. Le fiamme rimangono contenute in una zona delimitata, ma il fumo raggiunge anche i piani inferiori: gli operai muoiono soffocati e senza vie d’uscita

Le condizioni di lavoro

Il disastro mise sotto i riflettori una situazione che si stava protraendo da tempo, rimasta nascosta fino a quel momento nell’oscurità delle miniere. Dopo l’accordo stipulato con il protocollo italo-belga del 1946, moltissimi italiani erano stati inviati nelle miniere del Belgio, un lavoro durissimo e pericoloso per il quale mancava la manodopera necessaria. Le condizioni di lavoro, infatti, erano inaccettabili. Nella seduta del 4 ottobre 1956 della Camera dei deputati, l’interpellanza di Macrelli volse proprio a proposito delle condizioni dei lavoratori nelle miniere del Belgio. Macrelli ricordò alla Camera che già molti emigrati italiani avevano perso la vita nelle miniere prima del caso di Marcinelle.

L’intervento alla Camera dei deputati

“La tragedia che ha colpito tante famiglie italiane (sono 136 i morti di nazionalità italiana) deve essere esaminata sotto i suoi molteplici aspetti. Nessuno può essere dimenticato o trascurato. Certo, è facile ripetere quello che tante volte si è detto in queste dolorose contingenze: la morte nelle miniere è sempre in agguato. Noi, però, dobbiamo aggiungere che nei pozzi di Charleroi le condizioni erano semplicemente vergognose. Queste erano conosciute da molto tempo, ma non si è mai provveduto: e la via crucis dei nostri operai era segnata dalla scia sanguinosa lasciata da coloro che non ritorneranno più in mezzo alle loro famiglie, nelle loro case lontane. Non sono stati mai visti il radio-telefono, le vesti di amianto: pochi gli estintori; per il traino dei vagoncini si adoperavano ancora i cavalli. Dal punto di vista economico vigeva il tremendo regime dei cottimi, per cui un operaio, interrogato da qualcuno accorso dopo la tragedia, diceva testualmente che per guadagnare 400 franchi al giorno bisogna lasciarci la pelle.Onorevoli colleghi, dal 1946 ad oggi sono ben 650 gli italiani morti nelle miniere del Belgio: ma dovevano morire questi 139 italiani per conoscere la dolorosa, tragica verità”.

La storia di Salvatore Scordo

Il disastro di Marcinelle venne ricordato dal poeta Ignazio Buttita nella poesia Lu trenu di lu suli, dove si può leggere il dramma realmente vissuto dalla famiglia Salvatore Scordo, che apprese la notizia della sua morte nel corso del viaggio in treno intrapreso per raggiungerlo in Belgio. Diversi artisti hanno musicato e interpretato la poesia, tra questi segnaliamo l’interpretazione di Mario Incudine. 

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